È contrario all’interesse del minore imporgli di frequentare il genitore

31 maggio 2016

Il mantenimento dei legami familiari non deve essere imposto al figlio minorenne che si oppone alla frequentazione di un genitore dovendo prevalere l’interesse superiore del primo rispetto a ogni altro diritto. Con la pronuncia in esame (decreto 4 aprile 2016) il Tribunale di Torino si pone sulla linea interpretativa offerta dalle decisioni della Corte europea dei diritti dell’uomo (tra le quali “Santilli c. Italia” del 17.12.2013) che impongono al giudice di individuare e di attuare il diritto del genitore a mantenere il legame con i figli sempre nell’ottica prevalente di favorire l’interesse superiore del minore. La peculiarità della decisione è dettata dal fatto che la volontà di non frequentare più un genitore non può essere imposta, né indagata mediante C.T.U.

di Maria Stella Mancuso - Avvocato in Bologna
La decisione del Tribunale

Il collegio torinese è stato investito dalla richiesta di un padre separato che ricorre al Tribunale affinché imponga alla figlia adolescente di riprendere la frequentazione con lo stesso previa, eventuale, C.T.U. psicologica al fine di accertare se l’origine del rifiuto potesse rinvenirsi nel condizionamento psicologico attuato dalla madre nei confronti della quale il padre propone domanda sanzionatoria ex art. 709-ter c.p.c.

La resistente/madre, da parte sua, chiede il rigetto delle domande ex adverso proposte nonché, in via riconvenzionale, la previsione di visite padre-figlia nel rispetto della volontà della minore oltre al risarcimento del danno ex art. 96 c.p.c.

I giudici, in primis, hanno rigettato la C.T.U. psicologica richiesta dal ricorrente poiché ritenuta generica ed esplorativa, non potendo essere utilizzata dalla parte per individuare i fatti a sostegno della propria domanda supplendo alle carenze di allegazione.

Inoltre, nel caso di specie il minore, di quasi quindici anni, e nel corso dell’audizione in giudizio ha espresso chiaramente e senza esitazioni la volontà di non volere riprendere i rapporti con il padre - giudicato aggressivo e prepotente - e di provare ansia solo all’idea di doverlo incontrare. Nonostante ciò, ritenuta la minore sufficientemente matura, il Collegio torinese non ha ritenuto di dover indagare più approfonditamente per verificare la configurabilità di una sindrome di alienazione parentale ritenendo che la mancanza di tale prova sia, semmai, addebitabile al ricorrente.

I giudici hanno dimostrato di seguire la linea interpretativa offerta dalla Corte europea dei diritti dell’uomo ritenendo sussistere sia il diritto di un figlio a mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascun genitore che, specularmente, anche il diritto di ciascun genitore a mantenere rapporti effettivi con i figli “nell’interesse ultimo del figlio stesso ad una crescita serena ed equilibrata ed affinché il genitore sia posto nelle condizioni di esercitare la responsabilità genitoriale che gli compete e di adempiere al proprio dovere di mantenimento e cura della prole” (così la decisione in commento). L’adottabilità di provvedimenti maggiormente inclini alla tutela dell’uno o dell’altro diritto è rimessa alla discrezionalità del giudicante che dovrà valutare il caso concreto anche in relazione alle specifiche circostanze e all’età del minore.

Osserva però il Tribunale che l’individuazione delle concrete modalità di esercizio e attuazione del predetto diritto deve avvenire avendo sempre come “parametro principale di riferimento l’interesse superiore del minore” e che la coercizione consistente nell’imposizione dei rapporti familiari non appare quasi mai la via migliore per garantire il minore come peraltro sancito anche dalla Corte EDU.

Possiamo, a questo punto affermare come “la tendenza uniformante dei principali paesi europei e delle convenzioni internazionali tesa a tutelare i minori tanto nelle fasi fisiologiche della vita familiare quanto in quelle patologiche, rappresenta, nella legislazione vigente, il principio cardine permeante ogni provvedimento relativo ai figli” e tale da considerarsi una sorta di “clausola generale dell’ordinamento” (Rossi, L’affidamento dei figli minori in caso di crisi della coppia genitoriale, in La famiglia in crisi, a cura di Cassano-Oberto, Torino, 2016, 494). Il nostro ordinamento da svariato tempo ruota intorno a tale concetto, basti pensare alla riforma del diritto di famiglia del 1975 in seguito alla quale è stato modificato l’art. 155 c.c. con l’espressa previsione che l’affidamento e ogni altro provvedimento relativo ai figli dovesse essere pronunciato avendo come esclusivo criterio ispiratore l’interesse morale e materiale del figlio, per poi approdare alla formulazione più recente dell’art. 337-ter c.c., introdotta dal d.lgs. 28 dicembre 2013, n. 154 che ha previsto al comma 2 che “il giudice adotta i provvedimenti relativi alla prole con esclusivo riferimento all’interesse morale e materiale di essa”.

In siffatta ottica non appare applicabile alla materia che ci occupa (e non viene presa in considerazione nel caso concreto) la normativa che disciplina l’esecuzione forzata degli obblighi di fare o di non fare (art. 612 c.p.c.) se taluna dottrina lo ritiene possibile così come la sua attuazione secondo il disposto dell’art. 614-bis c.p.c. consentendo al giudice di fissare, su richiesta di parte, una somma di denaro dovuta dall’obbligato per ogni violazione o inosservanza successiva, ovvero per ogni ritardo nell’esecuzione del provvedimento.“Il predetto rimedio, ritenuto applicabile anche in ambito familiare, svolgerebbe una funzione preventiva, inducendo il genitore collocatario a favorire la frequentazione del minore con l’altro genitore” (Graziosi-Scarpa, L’esecuzione forzata dei provvedimenti riguardanti i figli minori, in L’affidamento dei figli nella crisi della famiglia, a cura di Sesta-Arceri, Torino, 2012, 942).

È pacifico come i provvedimenti che dovranno emanare i giudici per dirimere simili casi di conflitti dovranno tenere conto dell’interesse del figlio a mantenere un equilibrato e continuativo rapporto con entrambi i genitori e non potranno, in mancanza di gravi e comprovati motivi, limitare eccessivamente la presenza del figlio presso l’uno e l’altro genitore.

Purtroppo, sebbene il concetto relativo alla tutela del minore sia di una chiarezza disarmante, non altrettanto semplice è, né sarà mai, la risoluzione delle problematiche afferenti la mancata frequentazione genitore-figlio e proprio per questo il vaglio che il giudice è chiamato a compiere sarà dirimente e da esso dipenderà realmente l’interesse del minore e la sua crescita equilibrata che, ricordiamolo, passa necessariamente per la via naturale della bi-genitorialità, frutto di tante giuste ed accorate battaglie.

L’esclusione, nel caso in esame della consulenza tecnica di natura psicologica non dovrà rappresentare un precedente, proprio perché la materia de quo per sua natura non può seguire linee prestabilite, dovendo modellarsi ad ogni singolo caso perché ciascuna storia è un mondo a parte che deve essere scandagliato approfonditamente al fine di trovare quel giusto equilibrio che permetta al minore di essere realmente tutelato.

Il collegio torinese, nell’effettuare una comparazione tra i rispettivi diritti, oneri ed interessi coinvolti ha mostrato di tenere in grande considerazione l’età del minore che, essendo prossimo al compimento dei quindici anni, si presume abbia già una personalità radicata e non facilmente influenzabile dai comportamenti spesso impregnati dal rancore tra i due ex coniugi. Il fattore età ha, nel caso in esame, indotto i giudici ad assecondare la richiesta minore di non frequentare il proprio padre con il quale ha dichiarato di non aver mai instaurato uno stretto rapporto e che, piuttosto, le ingenera ansia; tali dichiarazioni sono bastate ad escludere un’indagine di natura psicologica come richiesta dal ricorrente che riconduceva l’allontanamento della figlia alla PAS (Parental Alienation Syndrome) causata dalla condotta di ostilità della madre nei suoi confronti.

La via perseguita da parte dei giudici nel provvedimento in esame appare frutto di un delicato bilanciamento tra il principio della bi-genitorialità, il diritto del figlio a mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con entrambi i genitori e quello del genitore al mantenimento di un rapporto effettivo con il figlio al fine di esercitare la responsabilità genitoriale nel migliore dei modi e con tutti gli strumenti possibili.

Si può, conclusivamente, affermare che la modalità effettiva per realizzare concretamente l’equilibrio tra i suddetti principi cardine del nostro ordinamento deve, necessariamente, essere guidata dal superiore interesse del minore (che non deve rappresentare un fine meramente teorico) verso il quale l’intera procedura deve sempre e comunque tendere, mediante lo sforzo continuo e congiunto di tutti i soggetti implicati, primo fra tutti il giudice che “è chiamato al non facile compito di modulare le regole dell’affidamento tenendo presente la peculiarità del caso concreto, dipendendo dal suo intervento l’effettività della tutela dell’interesse del minore” (così Pinelli, I provvedimenti concernenti i figli in caso di crisi del matrimonio o dell’unione di fatto, in La riforma della filiazione a cura di C.M. Bianca, Torino, 2015, 752).

Esito del ricorso:

Il Tribunale di Torino rigetta il ricorso presentato da un padre per ottenere l’imposizione della regolamentazione del diritto di visita nei confronti della figlia minorenne, escludendo anche l’esperimento di una C.T.U. psicologica

Precedenti giurisprudenziali:

Corte EDU, 17 novembre 2015, Bondavalli c.Italia;

Corte EDU, 17 dicembre 2013, Santilli c. Italia;

Corte EDU, 29 giugno 2004, Volesky c. Rep. Ceca;

Cass., Sez. I, 22 luglio 2014, n. 16658.

Riferimenti normativi:

Art. 8 CEDU

Artt. 47, 155, 315-bis, 316, 337-ter, c.c.;

Artt. 612 e 614-bis, 709-ter c.p.c.;

Legge 8 febbraio 2006, n. 54;

D.lgs. 28 dicembre 2013, n. 154.
Tribunale di Torino, decreto 4 aprile 2016

Il mantenimento dei legami familiari non deve essere imposto al figlio minorenne che si oppone alla frequentazione di un genitore dovendo prevalere l’interesse superiore del primo rispetto a ogni altro diritto. Con la pronuncia in esame (decreto 4 aprile 2016) il Tribunale di Torino si pone sulla linea interpretativa offerta dalle decisioni della Corte europea dei diritti dell’uomo (tra le quali “Santilli c. Italia” del 17.12.2013) che impongono al giudice di individuare e di attuare il diritto del genitore a mantenere il legame con i figli sempre nell’ottica prevalente di favorire l’interesse superiore del minore. La peculiarità della decisione è dettata dal fatto che la volontà di non frequentare più un genitore non può essere imposta, né indagata mediante C.T.U.

di Maria Stella Mancuso - Avvocato in Bologna
La decisione del Tribunale

Il collegio torinese è stato investito dalla richiesta di un padre separato che ricorre al Tribunale affinché imponga alla figlia adolescente di riprendere la frequentazione con lo stesso previa, eventuale, C.T.U. psicologica al fine di accertare se l’origine del rifiuto potesse rinvenirsi nel condizionamento psicologico attuato dalla madre nei confronti della quale il padre propone domanda sanzionatoria ex art. 709-ter c.p.c.

La resistente/madre, da parte sua, chiede il rigetto delle domande ex adverso proposte nonché, in via riconvenzionale, la previsione di visite padre-figlia nel rispetto della volontà della minore oltre al risarcimento del danno ex art. 96 c.p.c.

I giudici, in primis, hanno rigettato la C.T.U. psicologica richiesta dal ricorrente poiché ritenuta generica ed esplorativa, non potendo essere utilizzata dalla parte per individuare i fatti a sostegno della propria domanda supplendo alle carenze di allegazione.

Inoltre, nel caso di specie il minore, di quasi quindici anni, e nel corso dell’audizione in giudizio ha espresso chiaramente e senza esitazioni la volontà di non volere riprendere i rapporti con il padre - giudicato aggressivo e prepotente - e di provare ansia solo all’idea di doverlo incontrare. Nonostante ciò, ritenuta la minore sufficientemente matura, il Collegio torinese non ha ritenuto di dover indagare più approfonditamente per verificare la configurabilità di una sindrome di alienazione parentale ritenendo che la mancanza di tale prova sia, semmai, addebitabile al ricorrente.

I giudici hanno dimostrato di seguire la linea interpretativa offerta dalla Corte europea dei diritti dell’uomo ritenendo sussistere sia il diritto di un figlio a mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascun genitore che, specularmente, anche il diritto di ciascun genitore a mantenere rapporti effettivi con i figli “nell’interesse ultimo del figlio stesso ad una crescita serena ed equilibrata ed affinché il genitore sia posto nelle condizioni di esercitare la responsabilità genitoriale che gli compete e di adempiere al proprio dovere di mantenimento e cura della prole” (così la decisione in commento). L’adottabilità di provvedimenti maggiormente inclini alla tutela dell’uno o dell’altro diritto è rimessa alla discrezionalità del giudicante che dovrà valutare il caso concreto anche in relazione alle specifiche circostanze e all’età del minore.

Osserva però il Tribunale che l’individuazione delle concrete modalità di esercizio e attuazione del predetto diritto deve avvenire avendo sempre come “parametro principale di riferimento l’interesse superiore del minore” e che la coercizione consistente nell’imposizione dei rapporti familiari non appare quasi mai la via migliore per garantire il minore come peraltro sancito anche dalla Corte EDU.

Possiamo, a questo punto affermare come “la tendenza uniformante dei principali paesi europei e delle convenzioni internazionali tesa a tutelare i minori tanto nelle fasi fisiologiche della vita familiare quanto in quelle patologiche, rappresenta, nella legislazione vigente, il principio cardine permeante ogni provvedimento relativo ai figli” e tale da considerarsi una sorta di “clausola generale dell’ordinamento” (Rossi, L’affidamento dei figli minori in caso di crisi della coppia genitoriale, in La famiglia in crisi, a cura di Cassano-Oberto, Torino, 2016, 494). Il nostro ordinamento da svariato tempo ruota intorno a tale concetto, basti pensare alla riforma del diritto di famiglia del 1975 in seguito alla quale è stato modificato l’art. 155 c.c. con l’espressa previsione che l’affidamento e ogni altro provvedimento relativo ai figli dovesse essere pronunciato avendo come esclusivo criterio ispiratore l’interesse morale e materiale del figlio, per poi approdare alla formulazione più recente dell’art. 337-ter c.c., introdotta dal d.lgs. 28 dicembre 2013, n. 154 che ha previsto al comma 2 che “il giudice adotta i provvedimenti relativi alla prole con esclusivo riferimento all’interesse morale e materiale di essa”.

In siffatta ottica non appare applicabile alla materia che ci occupa (e non viene presa in considerazione nel caso concreto) la normativa che disciplina l’esecuzione forzata degli obblighi di fare o di non fare (art. 612 c.p.c.) se taluna dottrina lo ritiene possibile così come la sua attuazione secondo il disposto dell’art. 614-bis c.p.c. consentendo al giudice di fissare, su richiesta di parte, una somma di denaro dovuta dall’obbligato per ogni violazione o inosservanza successiva, ovvero per ogni ritardo nell’esecuzione del provvedimento.“Il predetto rimedio, ritenuto applicabile anche in ambito familiare, svolgerebbe una funzione preventiva, inducendo il genitore collocatario a favorire la frequentazione del minore con l’altro genitore” (Graziosi-Scarpa, L’esecuzione forzata dei provvedimenti riguardanti i figli minori, in L’affidamento dei figli nella crisi della famiglia, a cura di Sesta-Arceri, Torino, 2012, 942).

È pacifico come i provvedimenti che dovranno emanare i giudici per dirimere simili casi di conflitti dovranno tenere conto dell’interesse del figlio a mantenere un equilibrato e continuativo rapporto con entrambi i genitori e non potranno, in mancanza di gravi e comprovati motivi, limitare eccessivamente la presenza del figlio presso l’uno e l’altro genitore.

Purtroppo, sebbene il concetto relativo alla tutela del minore sia di una chiarezza disarmante, non altrettanto semplice è, né sarà mai, la risoluzione delle problematiche afferenti la mancata frequentazione genitore-figlio e proprio per questo il vaglio che il giudice è chiamato a compiere sarà dirimente e da esso dipenderà realmente l’interesse del minore e la sua crescita equilibrata che, ricordiamolo, passa necessariamente per la via naturale della bi-genitorialità, frutto di tante giuste ed accorate battaglie.

L’esclusione, nel caso in esame della consulenza tecnica di natura psicologica non dovrà rappresentare un precedente, proprio perché la materia de quo per sua natura non può seguire linee prestabilite, dovendo modellarsi ad ogni singolo caso perché ciascuna storia è un mondo a parte che deve essere scandagliato approfonditamente al fine di trovare quel giusto equilibrio che permetta al minore di essere realmente tutelato.

Il collegio torinese, nell’effettuare una comparazione tra i rispettivi diritti, oneri ed interessi coinvolti ha mostrato di tenere in grande considerazione l’età del minore che, essendo prossimo al compimento dei quindici anni, si presume abbia già una personalità radicata e non facilmente influenzabile dai comportamenti spesso impregnati dal rancore tra i due ex coniugi. Il fattore età ha, nel caso in esame, indotto i giudici ad assecondare la richiesta minore di non frequentare il proprio padre con il quale ha dichiarato di non aver mai instaurato uno stretto rapporto e che, piuttosto, le ingenera ansia; tali dichiarazioni sono bastate ad escludere un’indagine di natura psicologica come richiesta dal ricorrente che riconduceva l’allontanamento della figlia alla PAS (Parental Alienation Syndrome) causata dalla condotta di ostilità della madre nei suoi confronti.

La via perseguita da parte dei giudici nel provvedimento in esame appare frutto di un delicato bilanciamento tra il principio della bi-genitorialità, il diritto del figlio a mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con entrambi i genitori e quello del genitore al mantenimento di un rapporto effettivo con il figlio al fine di esercitare la responsabilità genitoriale nel migliore dei modi e con tutti gli strumenti possibili.

Si può, conclusivamente, affermare che la modalità effettiva per realizzare concretamente l’equilibrio tra i suddetti principi cardine del nostro ordinamento deve, necessariamente, essere guidata dal superiore interesse del minore (che non deve rappresentare un fine meramente teorico) verso il quale l’intera procedura deve sempre e comunque tendere, mediante lo sforzo continuo e congiunto di tutti i soggetti implicati, primo fra tutti il giudice che “è chiamato al non facile compito di modulare le regole dell’affidamento tenendo presente la peculiarità del caso concreto, dipendendo dal suo intervento l’effettività della tutela dell’interesse del minore” (così Pinelli, I provvedimenti concernenti i figli in caso di crisi del matrimonio o dell’unione di fatto, in La riforma della filiazione a cura di C.M. Bianca, Torino, 2015, 752).

Esito del ricorso:

Il Tribunale di Torino rigetta il ricorso presentato da un padre per ottenere l’imposizione della regolamentazione del diritto di visita nei confronti della figlia minorenne, escludendo anche l’esperimento di una C.T.U. psicologica

Precedenti giurisprudenziali:

Corte EDU, 17 novembre 2015, Bondavalli c.Italia;

Corte EDU, 17 dicembre 2013, Santilli c. Italia;

Corte EDU, 29 giugno 2004, Volesky c. Rep. Ceca;

Cass., Sez. I, 22 luglio 2014, n. 16658.

Riferimenti normativi:

Art. 8 CEDU

Artt. 47, 155, 315-bis, 316, 337-ter, c.c.;

Artt. 612 e 614-bis, 709-ter c.p.c.;

Legge 8 febbraio 2006, n. 54;

D.lgs. 28 dicembre 2013, n. 154.

Tribunale di Torino, decreto 4 aprile 2016

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