LA SOLUZIONE
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Nel caso in cui, nell’ambito di una controversia giudiziaria nella quale si discuta del riconoscimento di diritti successori discendenti dall’esecuzione delle disposizioni di un testamento olografo, la parte che contesti l’autenticità di questo atto di ultima volontà, la stessa è tenuta a proporre domanda di accertamento negativo della provenienza della scrittura testamentaria e, quindi, secondo i principi generali applicabili in ordine a questo tipo di azione, incombe sulla medesima parte l’onere di allegare e produrre le relative prove del suo assunto.
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I PRECEDENTI
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Favorevoli alla tesi della sufficienza della mera proposizione del disconoscimento dell’autenticità del testamento olografo, con corrispondente onere in capo alla controparte di chiedere la verificazione dell’autenticità della provenienza della scrittura di ultima volontà:
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Cass. 16 ottobre 1975, n. 3371
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La parte che intenda contestare l'autenticità di una scrittura privata non riconosciuta non deve proporre la querela di falso, ma deve impugnarne, in via di eccezione, la sottoscrizione, mediante il disconoscimento. Il ricorso alla querela di falso si rende, invece, indispensabile solo dopo che la cennata scrittura abbia, comunque, acquistato l'efficacia di piena prova in seguito a riconoscimento implicito o presunto, ovvero, alla conclusione positiva del procedimento di verificazione e, cioè, quando oggetto della contestazione non è più l'originaria autenticità della scrittura, ormai definitivamente accertata, ma la verità intrinseca del suo contenuto. Le stesse regole valgono anche per il testamento olografo, che ha la natura di scrittura privata; il che comporta che il soggetto contro cui tale documento è stato prodotto (erede o avente causa) ha soltanto l'onere del disconoscimento, a norma dell'art. 214, secondo comma, c.c., mentre compete alla controparte di chiederne la verificazione con il conseguente onere di dimostrarne l'autenticità della scheda testamentaria.
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Cass. 12 aprile 2005, n. 7475
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Qualora sia fatta valere la falsità del testamento (nella specie olografo), l'azione - che ha ad oggetto l'accertamento dell'inesistenza dell'atto - soggiace allo stesso regime probatorio stabilito nel caso di nullità prevista dall'art. 606 c.c. per la mancanza dei requisiti estrinseci del testamento, sicché - avuto riguardo agli interessi dedotti in giudizio dalle parti - nell'ipotesi di conflitto tra l'erede legittimo che disconosca l'autenticità del testamento e chi vanti diritti in forza di esso, l'onere della proposizione dell'istanza di verificazione del documento contestato incombe sul secondo, cui spetta la dimostrazione della qualità di erede, mentre nessun onere, oltre quello del disconoscimento, grava sull'erede legittimo. Pertanto sulla ripartizione dell'onere probatorio non ha alcuna influenza la posizione processuale assunta dalle parti, essendo irrilevante se l'azione sia stata esperita dall'erede legittimo (per fare valere, in via principale, la falsità del documento) ovvero dall'erede testamentario che, agendo per il riconoscimento dei diritti ereditari, abbia visto contestata l'autenticità del testamento da parte dell'erede legittimo.
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Favorevoli alla tesi della necessità della proposizione della querela di falso da parte di colui che adduce l’apocrificità del testamento olografo fatto valere in sede giudiziale:
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Cass. 3 agosto 1968, n. 2793
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La contestazione dell'autenticità di un testamento olografo non attribuito alla parte contro la quale esso è prodotto si risolve praticamente in una eccezione di falso e, pertanto, deve essere sollevata solo nei modi e con le forme di cui all'art. 221 e segg. c.p.c.
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Cass. 30 ottobre 2003, n. 16362
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La procedura di disconoscimento e di verificazione di scrittura privata (artt. 214 e 216 c.p.c.) riguarda unicamente le scritture provenienti dai soggetti del processo e presuppone che sia negata la propria firma o la propria scrittura dal soggetto contro il quale il documento è prodotto; per le scritture provenienti da terzi (come nel caso di un testamento olografo), invece, la contestazione non può essere sollevata secondo la disciplina dettata dalle predette norme, bensì nelle forme dell'art. 221 e ss. c.p.c., perché si risolve in un'eccezione di falso.
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Il caso
A seguito del decesso di un soggetto nel lontano 1963, la vedova dello stesso faceva pubblicare il testamento olografo redatto (apparentemente) dal de cuius. Tuttavia, poiché i parenti del defunto asserivano che lo stesso, già dal mese precedente l’assunta data apposta sul testamento, era stato colpito da emorragia cerebrale ed era caduto in stato di totale incoscienza sino al decesso, impugnavano il testamento per falsità (siccome ritenuto privo di autenticità). Pertanto, essi invocavano il diritto al riconoscimento della qualità di eredi e alla attribuzione dei beni del de cuius, chiedendo la declaratoria di indegnità della vedova e la condanna della medesima alla restituzione dei frutti percepiti, deducendo che, infine, in ogni caso, sembrava che le disposizioni testamentarie contenessero, in effetti, la manifestazione della volontà del defunto di voler assegnare alla consorte il solo usufrutto dei beni ereditari, competendo dunque ad essi attori la nuda proprietà. Il Tribunale di primo grado, con sentenza emessa nel 1981, rigettava le domande, sul presupposto che il testamento olografo, disconosciuto dagli attori, poteva essere impugnato solo con la querela di falso e che la stessa, ancorché ritualmente formulata, era da rigettare nel merito per carenza di prove. La Corte di appello, con sentenza pronunciata nel 2007, rilevava la mancata impugnazione della sentenza del giudice di prime cure in ordine al motivo con cui era stata sostenuta la necessità della querela, verificando, altresì, che il separato processo per querela di falso si era estinto per mancata riassunzione, così pervenendo al rigetto del gravame. Avverso la sentenza di secondo proponevano ricorso per cassazione gli originari attori, a cui resistevano gli eredi della vedova del de cuius, che, a loro volta, formulavano ricorso incidentale anche condizionato.
L'ordinanza di rimessione e la questione di diritto
La seconda sezione civile, con ordinanza interlocutoria n. 28586 del 20 dicembre 2013, investita della trattazione dei ricorsi riuniti ai quali risultava comune il motivo relativo all’interrogativo di quale fosse lo strumento processuale utilizzabile per contestare l’autenticità del testamento olografo, rimetteva gli atti al Primo Presidente per l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite Civili, ai fini della risoluzione del contrasto esistente nella giurisprudenza di legittimità in proposito, alla cui cognizione essa veniva effettivamente devoluta.
In particolare, l’ordinanza di rimessione rilevava che si confrontavano in proposito due orientamenti. Secondo un primo indirizzo il testamento olografo, nonostante gli siano imposti i requisiti di forma previsti dall’art. 602 c.c., troverebbe collocazione tra le scritture private, sicché, sul piano della efficacia sostanziale, sarebbe necessario e sufficiente che colui contro il quale sia prodotto, disconosca (più correttamente non riconosca) la scrittura, da ciò derivando l’onere della controparte, che alla efficacia di quella scheda ha invece interesse perché da essa investito della eredità, di dimostrare la sua provenienza dall’autore apparente. L’ordinanza di rimessione evidenziava che secondo questo orientamento “nell’ipotesi di conflitto tra l’erede legittimo che disconosca l’autenticità del testamento e chi vanti diritti in forza di esso, l’onere della proposizione dell’istanza di verificazione del documento contestato incombe su secondo, cui spetta la dimostrazione della qualità di erede, mentre nessun onere, oltre quello del disconoscimento, grava sull’erede legittimo”, con l’ulteriore conseguenza che sulla ripartizione dell’onere probatorio non ha alcuna influenza la posizione processuale delle parti, ossia se la falsità del documento sia fatta valere in via principale dall’erede legittimo, che a tal fine abbia proposto l’azione, oppure se, introdotto dall’erede testamentario un giudizio per il riconoscimento dei propri diritti ereditari in forza della scheda testamentaria, questa sia stata disconosciuta dall’erede legittimo.
Un secondo orientamento interpretativo, pur senza collocare il testamento olografo nella categoria degli atti pubblici, ne riconosceva tuttavia una incidenza sostanziale e processuale particolarmente elevata, sicché “la contestazione del’autenticità del testamento olografo si risolve in un’eccezione di falso e deve essere sollevata solo nei modi e con le forme di cui all’art. 221 e ss. c.p.c.”. Da ciò deriverebbe il conseguente onere probatorio a carico della parte che contesti la genuinità della scheda testamentaria.
Nell’ordinanza interlocutoria – nel cui corpo erano menzionati precedenti della Corte a conforto dell’uno e dell’altro indirizzo ermeneutico – risultava ricordata anche la sentenza delle stesse Sezioni unite n. 15169 del 23 giugno 2010, che, chiamate a loro volta a risolvere ilo contrasto insorto sui modi di contestazione delle scritture private provenienti da terzi estranei alla controversia, in un obiter avevano affermato che sussisteva la necessità della querela di falso quale strumento di contrasto per escludere l’efficacia del testamento olografo (senza, però, che tale pronuncia avesse consentito di superare la contrapposizione sulla questione).
I due interrogativi – tra loro strettamente connessi - posti alla Corte sui quali era incentrato il contrasto erano i seguenti:
- dica la Corte se all’erede legittimo deve ritenersi consentita la facoltà di disconoscere, ai sensi e per gli effetti degli artt. 214 e ss. c.p.c., il testamento olografo fatto valere contro di lui, e se tale disconoscimento può essere esercitato anche in sede di azione di petitio hereditatis, nel corso della quale l’erede legittimo esplicitamente contesti l’autenticità del predetto testamento;
- dica la Corte se merita conferma il principio di diritto secondo il quale il testamento olografo può essere disconosciuto ex artt. 214 e segg. c.p.c. dall’erede legittimo che disconosca l’autenticità del testamento e che l’onere della proposizione dell’istanza di verificazione del documento contestato incombe su chi vanti diritti in forza di esso.
Le problematiche affrontate dalle Sezioni unite
Nella dotta e complessa motivazione della sentenza le Sezioni unite fanno il punto sul contrasto sia sul piano della produzione giurisprudenziale che dell’elaborazione scientifica, riportando gli argomenti addotti a conforto dell’una o dell’altra tesi, richiamate adeguatamente nella citata ordinanza interlocutoria, senza, peraltro, mancare di sottolineare l’importante principio espresso nella stessa composizione nomofilattica con la sentenza n. 15169 del 2010, alla stregua del quale le scritture private provenienti da terzi estranei alla lite possono essere liberamente contestate dalle parti, non applicandosi alle stesse né la disciplina sostanziale di cui all'art. 2702 c.c., né quella processuale di cui all'art. 214 c.p.c., atteso che esse costituiscono prove atipiche il cui valore probatorio è meramente indiziario, e che possono, quindi, contribuire a fondare il convincimento del giudice unitamente agli altri dati probatori acquisiti al processo, precisandosi, tuttavia, che nell'ambito delle scritture private deve riservarsi diverso trattamento a quelle la cui natura conferisce loro una incidenza sostanziale e processuale intrinsecamente elevata (come il testamento), tale da richiedere la querela di falso onde contestarne l'autenticità.
In particolare, per un verso, viene ricordato l’indirizzo formatosi in giurisprudenza, alla stregua del quale – previa puntualizzazione che la querela di falso e il disconoscimento della scrittura privata sono istituti preordinati a finalità diverse e del tutto indipendenti tra loro - risulta statuito che, poiché il testamento olografo è un documento che non perde la sua natura di scrittura privata per il fatto che deve rispondere ai requisiti di forma imposti dalla legge (art. 602 c. c.) e che deriva la sua efficacia dal riconoscimento, espresso o tacito, che ne faccia il soggetto contro il quale la scrittura è prodotta, quest’ultimo, ove voglia impedire tale riconoscimento e contesti globalmente l’intera scheda testamentaria, deve proporre l’azione di disconoscimento, che pone a carico della controparte l’onere di dimostrare, in contrario, che la scrittura non è stata contraffatta e proviene, invece, effettivamente dal suo autore apparente (v. Cass. 3371 del 1975; Cass. n. 7475 del 2005 e Cass. n. 28637 del 2011). Solo per completezza vale la pena di aggiungere – nel solco di questo indirizzo – come sia stato anche specificato che il giudicato formatosi sul tacito riconoscimento della sottoscrizione di un testamento olografo non preclude la proponibilità della querela di falso avverso la medesima scheda testamentaria della quale si voglia impugnare la riferibilità della sottoscrizione o dell'intero contenuto al suo autore apparente, atteso che l'avvenuto riconoscimento di una scrittura privata esclude solamente che colui al quale la sottoscrizione è attribuita possa limitarsi a disconoscere la sottoscrizione addossando l'onere della verificazione alla parte che del documento voglia avvalersi, ma non si pone come accertamento di autenticità non altrimenti impugnabile (v., di recente, Cass. n. 27353 del 2014).
In senso contrario risulta riportato il contrapposto orientamento secondo cui la procedura di disconoscimento e di verificazione di scrittura privata (artt. 214 e 216 c.p.c.) riguarda unicamente le scritture provenienti da soggetti del processo e presuppone che sia negata la propria firma o la propria scrittura dal soggetto contro il quale il documento è prodotto, con la conseguenza che, per le scritture provenienti da terzi estranei, come nel caso del testamento olografo oggetto di impugnazione in sede giudiziale, la contestazione non può essere sollevata secondo la disciplina dettata dalle predette norme, bensì nelle forme dell’art. 221 e segg. c.p.c., perché si risolve in una eccezione di falso (cfr. Cass. n. 2793 del 1968; Cass. n. 1599 del 1971 e Cass. n. 16362).
Malgrado l’evidenziazione dei plurimi argomenti spendibili (e di cui viene dato ampiamente conto) a favore dell’uno o dell’altro indirizzo, le Sezioni unite rimarcano l’importanza, in materia, del principio espresso dalla Corte di legittimità, con la sentenza n. 1545 del 1951 (Pres. Mandrioli - est. Torrente! Chi, nell’ambito giuridico-forense, non li conosce!), in virtù del quale – pur non disconoscendosi la natura di scrittura privata del testamento olografo - la contestazione della genuinità dello stesso deve tradursi in una domanda di accertamento negativo della validità del medesimo. Valorizzandolo e ritenendo che la sua applicazione si conformi in modo soddisfacente alla questione controversa, le medesime Sezioni unite lo recepiscono a distanza di oltre mezzo secolo, in tal modo risolvendo il contrasto non scegliendo tra le due tesi contrapposte che lo avevano originato, bensì optando per una terza via – per così dire mediana – intesa a rimarcare i due aspetti fondamentali del valore sostanziale da assegnare al testamento e dello strumento processuale mediante il quale al testamento può essere riconosciuta l’idoneità ad acquisire definitiva efficacia probatoria.
Accedendo a questo esito, il massimo consesso nomofilattico della giurisdizione ordinaria ha ritenuto di poter consentire all’ordinamento giuridico di salvaguardare diverse esigenze, ovvero quelle:
1) di pervenire al definitivo incasellamento del testamento olografo nella categoria della scritture private;
2) di sottolineare la particolare funzione ed efficacia dello stesso documento, tale da non permetterne la riconducibilità nell’alveo delle ordinarie scritture provenienti da terzi;
3) di evitare di aggravare la posizione processuale della parte contrapposta a quella formulante il disconoscimento dell’autenticità della provenienza del testamento olografo;
4) di impedire il ricorso al necessario espediente della querela di falso, che si caratterizzerebbe come rimedio processuale eccedente (anche rispetto al valore supremo della giurisdizione, riguardata come “risorsa non illimitata”) e tale da non consentire una risoluzione della controversia tutta interna al processo.
La soluzione delle Sezioni unite
Con la Sent. n. 12307 del 2015, le Sezioni unite, quindi, con una soluzione un po’ a sorpresa e che supera attraverso l’adesione ad una “terza via” il contrasto emerso nella più recente giurisprudenza di legittimità, hanno inteso statuire il (rigenerato) principio secondo cui la parte che intenda contestare l’autenticità del testamento olografo prodotto in giudizio per far valere posizioni successorie ad esso ricollegabili ha l’onere di proporre la relativa domanda di accertamento negativo circa la provenienza della scrittura testamentaria, a cui è correlato, quindi, alla stregua dei principi generali in materia, anche quello di provarne i fatti dedotti a suo fondamento. Infatti, è risaputo che, in tema di riparto dell'onere della prova ai sensi dell'art. 2697 c.c., l'onere di provare i fatti costitutivi del diritto grava sempre su colui che si afferma titolare del diritto stesso ed intende farlo valere, ancorché sia convenuto in giudizio di accertamento negativo, con la conseguenza che – in sede di giudizio successorio in cui venga dedotto il difetto del requisito dell’olografia (previsto dall’art. 602 c.c.) - la sussistenza dell’esclusione del fatto implicante l’eccepita non autenticità di tale particolare tipo di scrittura privata deve essere riscontrata probatoriamente dalla parte che adduce detta circostanza. Ciò significa che, a fronte di una domanda giudiziale basata sulla dedotta autenticità di un testamento olografo per far valere i connessi diritti di erede, chi – sul versante processuale contrapposto - ne eccepisce la falsità è tenuto anche a provare tale fatto per impedire l’accoglimento dell’azione di parte avversa.
Il suddetto principio – così come cristallizzato nella pronuncia delle Sezioni unite - inciderà certamente sul contenzioso in materia di successioni testamentarie e, soprattutto, solleciterà l’esperimento – da parte del ceto forense – di nuove strategie processuali che possano venire meglio incontro al soddisfacimento delle esigenze degli assistiti. Del resto costituisce principio ricorrente nella giurisprudenza l’asserzione in base alla quale, ove l'attore proponga domanda di accertamento negativo di un diritto del convenuto e quest’ultimo non si limiti a chiedere il rigetto della pretesa avversaria, ma formuli, a sua volta, domanda riconvenzionale per conseguire il riconoscimento del diritto negato da controparte, ambedue le parti hanno l'onere di provare le rispettive e contrapposte pretese, restando soccombente chi non assolva tale onere.
(Cassazione civile Sentenza, Sez. SS.UU., 15/06/2015, n. 12307)
da Il Quotidiano Giuridico