È illegittimo il diniego opposto da un dirigente scolastico alla richiesta d'iscrizione proveniente da un bambino disabile, motivato con riferimento al numero cospicuo di domande presentate da ragazzi residenti all'interno dello stradario di competenza della scuola tale da non consentire l'accoglimento di quelle provenienti da soggetti non residenti all'interno della predetta zona.
di Michele Didonna - Avvocato amministrativista del foro di Bari
Con la Sent. 17 novembre 2015, n. 297, la Sez. I del T.A.R. di Parma ha deciso che il criterio dello stradario, utile quale primo filtro da applicare nella regolamentazione delle iscrizioni, vada contemperato con le esigenze peculiari di volta in volta rappresentate dai genitori di bambini affetti da disabilità. Una diversa opzione interpretativa, si porrebbe in contrasto con l'ordinamento giuridico, orientato all'integrazione degli alunni portatori di handicap.
Analisi del caso
I genitori di un bambino disabile -su consiglio di un'equipe medica- presentavano domanda d'iscrizione per il proprio figlio presso un determinato istituto scolastico. Il dirigente, tuttavia, respingeva la richiesta, rilevando come l'elevato numero di domande presentate da ragazzi residenti all'interno dello stradario di competenza della scuola non consentisse di prendere in considerazione quelle provenienti da soggetti estranei alla predetta zona.
Avverso questo provvedimento sono insorti i genitori del minore, lamentando la violazione della normativa volta a favorire il diritto all'educazione e all'integrazione scolastica degli alunni con disabilità, oltreché del principio di non discriminazione.
Le Amministrazioni intimate si sono costituite in giudizio e hanno chiesto la reiezione del ricorso.
All'esito della Camera di consiglio, l'adito G.A. ha accolto la domanda cautelare, sollecitando la P.A. al riesame dell'istanza presentata dai ricorrenti. Ha difatti ritenuto che un istituto scolastico, in presenza di richieste di iscrizioni in eccedenza, non possa avvalersi -ai fini della selezione- unicamente del criterio dello stradario, ove genitori di soggetti disabili residenti al di fuori dello stesso abbiano manifestato delle peculiari esigenze. Pronuncia cautelare poi confermata funditus con la sentenza qui segnalata.
La soluzione
Il Collegio ha quivi rilevato come, a seguito del remand istruttorio, l'istituto scolastico avesse accolto la domanda d'iscrizione del minore. Cionondimeno, ha ritenuto sussistere l'interesse a una pronuncia di merito, stante il mancato annullamento formale del provvedimento impugnato.
Ha così esaminato il ricorso, sostanzialmente confermando la posizione assunta in sede cautelare. Nello specifico, ha osservato come non via sia alcuna norma, all'interno dell'ordinamento, che, in presenza di richieste d'iscrizione scolastica in eccedenza, prescriva -ai fini della selezione- l'utilizzo in via prioritaria del cd. "criterio dello stradario".
Per contro, ha sottolineato come vi siano numerose disposizioni tese a favorire l'integrazione degli alunni con handicap. Fra queste, ad esempio, l'art. 4, comma 2, D.P.R. n. 81 del 2009 il quale appunto prevede che i dirigenti scolastici possano decidere, ove ricorrano situazioni particolari, di incrementare il numero delle classi.
Di talché, se è pacifico che il dirigente non possa, in via ordinaria, accettare un numero di iscrizioni superiore a quello delle classi che può formare all'interno di un singolo plesso scolastico, altrettanto indubbio è che tale assunto non possa ostare all'accoglimento di una singola domanda proveniente da un alunno disabile residente al di fuori dello stradario di competenza della scuola, ove i genitori dello stesso abbiano manifestato peculiari esigenze.
I precedenti e i possibili impatti pratico-operativi
Nel corso degli anni, v'è stata una sensibile evoluzione della posizione assunta dall'ordinamento in ordine alla fruibilità dell'istruzione da parte delle persone portatrici di disabilità. Nello specifico, si è passati da un sistema tendente alla marginalizzazione -con l'inserimento dei bambini disabili in scuole speciali o in classi differenziali, a seconda che fossero "irrecuperabili" o, per contro, suscettibili di correzione e quindi reinseribili, nel futuro, nella scuola comune- a uno basato sull'integrazione. L'inversione di rotta si è in particolar modo avuta a partire dal 1974, quando il Ministero della Pubblica Istruzione incaricò Franca Falcucci -una politica italiana- di presiedere una commissione che aveva il compito di svolgere un'indagine nazionale sui problemi degli alunni handicappati. Il documento redatto all'esito dei lavori -il cd. "documento Falcucci", definito come "magna charta" dell'integrazione degli alunni portatori di disabilità- contiene, difatti, i principi ispiratori delle leggi fondamentali emanate in materia, vale a dire della L. 4 agosto 1977, n. 517, la quale ha sancito, fra l'altro, il diritto alla frequenza scolastica di tutti i portatori di handicap, nonché della L. 5 febbraio 1992, n. 104, recante la "Legge-quadro per l'assistenza, l'integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate". Quest'ultima -volta a perseguire un evidente interesse nazionale, stringente e infrazionabile, quale è quello di garantire in tutto il territorio un livello uniforme di realizzazione di diritti costituzionali fondamentali dei soggetti con disabilità (Corte Cost., 29 ottobre 1992, n. 406)- ha previsto che il diritto all'educazione e all'istruzione della persona con handicap venga garantito nelle sezioni di scuola materna, nelle classi comuni delle istituzioni scolastiche di ogni ordine e grado e nelle istituzioni universitarie, precisando come l'esercizio del diritto all'educazione e all'istruzione non possa essere impedito da difficoltà di apprendimento né da altre difficoltà derivanti dalle disabilità connesse all'handicap (art. 12, commi 2 e 4).
Tale assetto, tra l'altro, si salda con quello delineato dalla Carta costituzionale. Quest'ultima, oltre a riconoscere e garantire, in via generica, i diritti inviolabili dell'uomo, nonché la pari dignità ed eguaglianza sociale di tutti i cittadini (artt. 2 e 3), prevede espressamente -all'art. 38, comma 3- che tanto gli inabili quanto i minorati abbiano diritto all'educazione e all'avviamento professionale.
Orbene, la sentenza in rassegna penetra nel solco tracciato dal predetto corpus normativo: essa, invero, muovendo dalla valorizzazione ordinamentale dell'assistenza, inserimento e integrazione dei soggetti disabili, giunge a ritenere illegittima la priorità (incondizionata) assegnata dal dirigente, nelle selezione delle domande di iscrizione, al criterio della viciniorietà della residenza dell'alunno all'istituto scolastico.
È pacifico, d'altronde, che la Scuola si qualifichi, nell'attuale sistema giuridico, alla stregua di soggetto obbligato sostanziale a garantire all'alunno disabile il servizio educativo (Cons. di Stato, Sez. VI, 27 luglio 2015, n. 3657). Di talché, essa è tenuta a favorire lo sviluppo delle potenzialità conoscitive, operative e relazioni che, indubbiamente possedute anche dai soggetti con difficoltà di sviluppo, di apprendimento e di adattamento, risultano tuttavia -in relazione a essi- spesso bloccate dagli schemi e dalle richieste della cultura corrente.
T.A.R. Emilia Romagna, Parma, Sez. I, 17 novembre 2015, n. 297
Archivio news