L'infedeltà coniugale, secondo l’id quod plerumque accidit, è causa del venir meno dell’affectio familiae; spetta, quindi, all’autore della violazione dell’obbligo la prova della mancanza di nesso eziologico tra infedeltà e crisi coniugale.
a cura della Redazione
La Suprema Corte, nel confermare la sentenza della Corte d’Appello di Venezia, ha osservato che l’infedeltà viola uno degli obblighi direttamente imposti dalla legge a carico dei coniugi, così da infirmare alla radice l’affectio familiae in guisa tale da giustificare, secondo una ordinaria relazione causale, la separazione.
È, quindi, la premessa, secondo l’id quod plerumque accidit, dell’intollerabilità della prosecuzione della convivenza per causa non indipendente dalla volontà dei coniugi.
Non per questo, tuttavia, tale regolarità causale assurge a presunzione assoluta.
Spetta, invero, all’autore della violazione dell’obbligo la prova della mancanza del nesso eziologico tra infedeltà e crisi coniugale sotto il profilo che il suo comportamento si sia inserito in una situazione matrimoniale già compromessa e connotata un reciproco disinteresse.
Tale riparto dell’onere della prova, oltre a palesarsi rispettoso del canone legale, è altresì aderente al principio empirico di vicinanza della prova.
Esito del ricorso:
Rigetto
Riferimenti normativi:
C.C., artt. 143, 151, 2697.
Precedenti giurisprudenziali:
Cass. Civ., sez. I, 14/02/2012, n. 2059
Cassazione civile, sez. I, 25 maggio 2016, n. 10823
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